Sono mesi difficili, in cui mi sento vuota, in cui mi siedo davanti al PC e faccio fatica a trovare un senso a quello che faccio. Sulla carta, faccio la SEO copywriter, SEO specialist e Web Designer, in pratica mi occupo di creare siti web, scrivere i testi e “spingerli” attraverso articoli di blog per farli uscire fra i primi risultati di ricerca su Google. 

La mia vita è molto piena: frequento due corsi universitari, ho la mia attività in partita IVA da anni e presto inizierò a fare da supplente a scuola. Tuttavia mi sento vuota, anche in questa pienezza.

Ma perché introduco così il discorso? Per parlare di alienazione e di quanto questa stia raggiungendo lo stremo in diversi settori, fra cui quello della comunicazione e del marketing in cui io stessa opero. 

Da dove parte la mia riflessione?

Come dicevo in questa breve introduzione, tutto è partito da una sensazione che negli ultimi mesi si è fatta strada in me: un incredibile vuoto e un senso di inadeguatezza e inutilità ogni qualvolta pensavo al mio lavoro e stavo davanti allo schermo. 

Non uso molto i social, anche se possiedo vari profili nelle principali piattaforme per far sapere al mondo che esisto come professionista, tuttavia ogni tanto apro Linkedin per leggere qualche post. Scrollando i vari contenuti ho notato che esistevano due fazioni: quelli che erano iperproduttivi, soddisfatti dei loro profitti, incuranti di tutto ciò che stava attorno a loro, e quelli che, come me, si sentivano “svuotati” e che provavano un senso di inutilità e inadeguatezza. Quindi ho deciso di parlare con questa seconda categoria di persone per capire se, come me, avevano notato una radice comune a queste sensazioni.

L’Intelligenza Artificiale: un valido aiuto o uno strumento di alienazione?

Riflettendo prima su me stessa e poi sulle parole di chi ho interpellato personalmente, ho trovato un po’ il fulcro attorno a cui ruotavano queste sensazioni: l’avvento dell’AI e le sue “super capacità”. Il senso di vuoto e di inutilità che noi lavoranti nel settore del digitale sentiamo è proprio dato dall’utilizzo di queste nuove tecnologie che hanno preteso di sostituire la nostra mente in varie fasi del nostro lavoro: analisi di mercato, ricerca delle parole chiave, scalette per i nuovi contenuti o addirittura scrittura completa di testi. Personalmente, essendo in deficit di tempo frequentando l’università in presenza, mi sono trovata spesso a utilizzarla “per fare prima”, ma questo ha creato una voragine dentro di me. L’AI è stato un buco nero che ha risucchiato le competenze acquisite in 5 anni di lavoro nel settore. Nel momento in cui ne ho preso consapevolezza, dentro di me ho “collegato i puntini”, come si suol dire, e nella mia mente è apparso il concetto di alienazione, di cui hanno parlato diversi sociologi nel corso degli anni. 

Alineazione: da Rousseau a Lukacs

pensatori sull'alienazione

Lo so, Rousseau non è il primo pensatore che ci viene in mente parlando di alienazione, poiché Marx sdoganò veramente il termine, tuttavia voglio iniziare questo viaggio fra i pensieri di nomi che hanno fatto la storia proprio da lui, arrivando fino al mio pensiero. Sembra essere una cosa da presuntuosa inserirmi fra di loro, e forse un po’ lo è, tuttavia credo che dire la mia non sia poi così sbagliato in un mondo in cui “dicono la loro” persone che hanno solo l’obiettivo di confondere e di seminare zizzania in mezzo al grano (la citazione biblica è assolutamente voluta). 

Jean-Jacques Rousseau: l’alienazione come perdita di autenticità

Siamo in Francia nel 1700, periodo storico in cui si stavano facendo strada le ferventi idee che poi sfociarono nella grande Rivoluzione di cui tutti noi siamo a conoscenza. Rousseau, attraverso due opere in particolare, parla di alienazione già tre secoli fa, anche se in modo un po’ indiretto: “Discorso sull’origine della disuguaglianza” e “il contratto sociale”. Egli ci descrive un fenomeno che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: la tendenza al conformismo e la conseguente perdita di autenticità e di libertà. Nella prima opera dice che non c’è scampo a questo processo, nella seconda, invece, sostiene che è compito delle istituizioni riuscire a dare una nuova possibilità all’individuo. Tuttavia, anche nella seconda opera le prospettive non sono rosee, poiché sostiene che le singole persone siano schiave delle apparenze e che solo “i selvaggi” non lo sono. 

Citazione

“Mentre il selvaggio vive in se stesso, l’uomo sociale, sempre fuori di sé non sa vivere che nell’opinione degli altri e per così dire solo dal loro giudizio trae il sentimento della sua propria esistenza.”

Questo estratto risale circa a trecento anni fa, ma mi sembra molto contemporaneo.

Se ci guardiamo attorno, infatti, vediamo persone conformate: tutti hanno lo stesso telefono, tutti vestono allo stesso modo, tutti vanno in vacanza negli stessi posti… Si discostano da questi solo pochi, che vengono isolati dal resto della massa e scherniti. Tuttavia gli alienati non sono questi pochi casi, ma le persone che appartengono alla massa degli uniformati. Tuttavia Rousseau nelle sue opere ci dice che la soluzione per proteggere gli individui dalle disuguaglianze e dall’alienazione é l’alienazione stessa, ma sotto il punto di vista solidale, dove ognuno è tutelato da una Repubblica fondata sul contratto sociale. Qui possiamo citare il filosofo Fetscher che a tal riguardo dice: 

“Il tema del Contratto sociale non è l’abolizione, bensì la legittimazione delle catene”.

In sostanza, conviene diventare amici del carceriere.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel: l’alienazione come chiave della dialettica

Quando si pensa alla filosofia, il nome di Hegel appare accanto a quello di altri grandi filosofi come Aristotele, Platone e Kant. Tuttavia, chi si è ritrovato a studiarlo nutre un po’ di risentimento nei suoi confronti a causa della vastità del suo pensiero. In questo articolo toccherò, però, solo un aspetto: l’alienazione dello spirito come chiave del movimento dialettico. Spiegare Hegel ed essere riassuntivi è una combo che sembra non stare in piedi, ma voglio provarci. Intanto, cos’è lo spirito? Non è tanto la singola coscienza, quanto l’umanità che ha consapevolezza di sé come ragione e che, come tale, si sviluppa attraverso le epoche. Non ci abbiamo capito niente? Benissimo, perché il prossimo punto è ancora peggio: la storia è un processo dinamico di autocoscienza e realizzazione dello spirito. In buona sostanza, per Hegel lo spirito è una forza in continua evoluzione che, attraverso conflitti e sintesi, ovvero un movimento dialettico, si avvicina sempre più alla consapevolezza completa di sé e del mondo. Ed è qui che entra in gioco l’alienazione, senza la quale l’evoluzione, non sarebbe possibile. Essa consiste nel fatto che lo spirito, realizzando la propria razionalità tramite le proprie azioni e istituzioni, cioè creando il proprio mondo, si fa esterno a se stesso e non si riconosce in esso. Tale alienazione può, però, essere superata attraverso un processo dialettico: lo spirito giunge a riconoscere nel mondo esterno l’oggettività che esso stesso ha prodotto, dunque la realizzazione di se stesso. 

Lo so, è un discorso complicatissimo e richiederebbe un libro per essere spiegato, ma ciò che mi interessa è proprio il fatto che l’alienazione per Hegel viene vista come un qualcosa di necessario e positivo per lo spirito, proprio perché lo porta a un’evoluzione e all’autorealizzazione. 

Citazione

“Soltanto mettendo in gioco la vita si conserva la libertà. L’individuo che non ha messo a repentaglio la vita per la libertà non può venir riconosciuto come persona.”

Ho scelto questa citazione per proseguire il discorso e per spostarmi più verso il concetto di libertà che va in conflitto con l’alienazione. “Mettersi in gioco” presuppone un “uscire” dai propri schemi: se riconsideriamo il discorso sullo spirito che abbiamo appena fatto, quell’uscita è essenziale per l’autorealizzazione. Di conseguenza, possiamo dire che la sensazione di essere alienati può essere la spinta per uscire, ma solo se ne prendiamo consapevolezza. 

Prima di chiudere con questo filosofo vorrei fare una nota: ciò che ho appena scritto è frutto di un mio personale ragionamento, quindi non è da attribuirsi strettamente a Hegel.

Karl Marx: colui che fece conoscere l’alienazione al mondo

Marx è un nome ricorrente in molti manuali di storia, filosofia e sociologia perché il suo pensiero influenzò decisamente il corso degli eventi che a lui furono postumi. Vissuto durante il XIX secolo, si interessò particolarmente al nascente capitalismo, di cui ora siamo spettatori ai massimi termini. Sull’alineazione di Marx davvero potremmo scrivere un libro, anche perché fu il primo a chimarla in questo modo e a delinearne delle vere e proprie caratteristiche. In particolare, per Marx si trattava di una condizione in cui il lavoratore è separato dal prodotto del proprio lavoro, dall’attività lavorativa stessa, dalla sua essenza umana e dai suoi simili. Nel sistema capitalistico, quindi, non solo il lavoratore crea beni che non possiede, ma questa produzione diventa anche una forza estranea e oppressiva che lo domina. Per Marx, quindi, l’alienazione è strettamente legata al capitalismo: se quest’ultimo sparisse, allora anche questa condizione non avrebbe senso si esistere. Tuttavia Marx aveva già ben intuito che dal capitalismo non saremmo tornati indietro. Quindi qual è la soluzione per convivere con l’alienazione? La religione.

Citazione

Molto spesso viene citata solo una piccola parte di ciò che ha detto Marx sulla religione, sfruttando le sue parole per denigrarla. Non ha detto solo che è “l’oppio dei popoli”, bensì ha detto questo: 

“La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli.”

Ecco, direi che è ben diverso il significato con questo contesto. La religione è ciò che aiuta l’uomo a sopravvivere ogni giorno in quella condizione di alienazione che, essendo legata al capitalismo, probabilmente non sparirà mai. La religione è il conforto, il “porto sicuro” per l’essere umano che si trova a perdere se stesso e la sua umanità in quello che fa tutti i giorni in modo ripetitivo.

Per questa nuova visione sulla citazione che ho riportato devo ringraziare il mio professore di Sociologia generale e della Religione, Giuseppe Manzato, uomo di grande cultura e dalla mente brillante. Senza di lui e le sue riflessioni probabilmente non avrei avuto l’illuminazione e nemmeno le conoscenze sufficienti per scrivere questo articolo. 

Per concludere il discorso su Marx vorrei accendere un barlume in chi sta leggendo con una domanda: dato il calo di interesse verso ogni forma di religiosità e il parallelo incremento dell’ateismo, nel XXI secolo come possiamo sfuggire all’alienazione?

Tuttavia ci ritornerò alla fine di questo articolo.

Gyorgy Lukacs: dall’alienazione alla reificazione

Lukacs, vissuto fino al 1971, riprende Marx e lo studio sul capitalismo, introducendo quella che sembra essere un’evoluzione dell’alienazione: la reificazione. Con questo termine egli porta all’estremo l’alienazione, poiché intende la trasformazione delle relazioni sociali e delle attività umane in oggetti o cose. In buona sostanza, per lui il lavoro umano e i prodotti di questo lavoro si alienavano dai lavoratori stessi, diventando entità autonome che avevano il potere di dominare i loro creatori, influenzando tutte le strutture sociali. 

Mi viene da pensare allo smartphone: lo abbiamo creato noi esseri umani, ma quanto riusciamo a prenderne le distanze? Riusciamo davvero a stare senza? 

Io ho fatto i miei esperimenti fra il 2023 e il 2024 seguendo le orme dell’americana “Dumb phone revolution” e raccontando il tutto con alcuni video su YouTube che ho raccolto in una playlist che riporto qui di seguito. 

Citazione

“Sorge un mondo di cose già fatte e di rapporti fra cose, regolato da leggi le quali, pur potendo a poco a poco essere conosciute dagli uomini, si contrappongono ugualmente ad essi come forze che non si lasciano imbrigliare e che esercitano in modo autonomo la propria azione.”

Con questa citazione Lukacs ribadisce il concetto: ciò che andiamo a creare prende il sopravvento su di noi e decide per noi. Oltre allo smartphone e a tante altre nuove tecnologie come l’AI, mi vengono in mente tutti quegli oggetti che limitano la nostra quotidianità come tutte le cose che abbiamo. Avendo sperimentato per anni una vita povera in mezzo ai monti per mia scelta, non perché ci sia nata, mi sono resa conto di quanto le cose che abbiamo siano per noi una prigione. Avere molto non rende liberi, ma rende schiavi. Più si ha, più la nostra mente è affollata di pensieri e più problemi abbiamo da risolvere. Hai la macchina? Bene, ma essa comporta manutenzioni, assicurazione e bollo da pagare e… chi più ne ha, più ne metta! Ora questo sembra un esempio stupido, ma se ben ci riflettiam, ogni cosa in più che abbiamo comporta costi e una limitazione in qualche modo. Questo principio sta alla base del minimalismo che sembre più si sta diffondendo: meno hai, meglio stai. 

Il mio personale pensiero sull’alienazione ai giorni nostri

attività anti-alienazione

Come ho detto all’inizio di questo articolo, la mia pretesa di poter dire qualcosa di interessante sull’alienazione sembra essere davvero grande, tuttavia voglio provarci. 

L’intelligenza artificiale, per quanto possa sembrare qualcosa che sveltisce il lavoro, soprattutto quello digitale, a me ha dato l’impressione di essere un buco nero che si è preso la mia creatività e il mio entusiasmo. L’ho usata per mesi, ho imparato come “parlarle” e come utilizzare i dati che mi restituiva, tuttavia, settimana dopo settimana, mi sentivo sempre più svogliata e inutile. Parlando con i miei colleghi e leggendo post su Linkedin, il social dei professionisti per eccellenza, ho letto pareri molto simili al mio. Quindi cosa stiamo facendo? Ci stiamo disumanizzando. Se già le nuove tecnologie ci stavano allontanando dai rapporti umani vis-à-vis, questi chatbot saputelli e che hanno sempre la risposta pronta ci stanno allontanando anche da noi stessi e dalle nostre capacità. 

L’AI mi ha fatta sentire incapace di fare il mio lavoro 

Ormai lavoro da 5 anni in questo settore, tutti i giorni, molte ore al giorno, quindi ho accumulato già abbastanza esperienza e competenze da poter dire di non essere esattamente l’ultima arrivata (ma neanche la prima, sia chiaro!). Tuttavia, sentirmi dire dai clienti “fai con l’AI, così mi fai uno sconto, tanto è lo stesso” mi ha fatta imbestiare. Com’è possibile che la mia esperienza di anni possa essere equiparata a un chatbot che non conoscerà mai tutto ciò che ci sta dietro a un’azienda, a un brand, e che non avrà mai la mia capacità di scelta e di ragionamento su aspetti morali e non solo? 

Un lavoro eseguito è ben diverso da uno fatto con il cuore, la mente e mettendo in campo esperienza di anni. All’inizio per praticità ho detto “okay” a qualche cliente, ma poi mi sono sentita davvero male e ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa. 

Quindi oggi sono qui per scrivere questa sorta di manifesto per difendere la nostra umanità e per non alienarci. 

Le attività anti-alienazione

Come dicevo prima, sono una persona che ha molto a cuore il mio essere “persona”, il mio essere “umana”, proprio per questo spesso mi sono buttata a capofitto in esperimenti come quello di non avere lo smartphone. Ecco, quello penso sia stato uno dei periodi più belli: mi ha fatto capire quanti e quali siano veramente i miei amici perché chi voleva sentirmi mi faceva una telefonata o mi invitava fuori per un caffé, inoltre ho ritrovato un sacco di tempo libero per dedicarmi ad attività che mi piacevano di più, come leggere, suonare il pianoforte, ma anche a nuove attività, come fare la pasta fatta in casa o imparare a fare la maglia. Ecco, per non alienarci è importante coltivare passioni che non presuppongano l’utilizzo di questi “aggeggi” come lo smartphone e l’AI, oppure uscire con gli amici e dedicarsi a momenti di socialità, oppure ancora stare fuori all’aperto a fare sport. Abbiamo migliaia di attività che possiamo fare, tuttavia continuiamo a scegliere di stare davanti allo schermo e di spegnerci giorno dopo giorno. 

Siamo stati creati per vivere, non per sopravvivere. 

E tu, stai vivendo davvero?